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TENTAZIONI DI VENERE
(MEETING VENUS)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 22 settembre 1991
 
di Istvan Szabo, con Niels Arestrup, Glenn Close, Erland Josephson (Gran Bretagna - Ungheria, 1991)
Gli sconvolgimenti politici e sociali che viviamo cominciano a riflettersi anche nel cinema di finzione. Non soltanto su CNN, insomma, ma anche attraverso le parabole: come può essere definita questa dell'autore di MEPHISTO, uno dei rari film, se non proprio comici perlomeno satirici fra quelli presentate alla recentissima Mostra di Venezia; dalla quale giunge con encomiabile sollecitudine sui nostri schermi.

TENTAZIONI DI VENERE è la storia dell'amore tumultuoso fra un direttore d'orchestra giunto dall'Est (il marlonbrandiano Niels Arestrup che non dispiacerà sicuramente alle spettatrici) e una celebre soprano (collaudatissima Glenn Close, doppiata nel canto dalla grande Kiri Te Kanawa). Ma, in effetti, quello che conta è soprattutto il nome del teatro nel quale si allestisce un Tannhauser: Opera Europa.

Metafora più che trasparente: ulteriormente sottolineata dal fatto che questo film diretto da un ungherese (e prodotto dall'inglese David Puttnam, quello di MOMENTI DI GLORIA e di URLA NEL SILENZIO) è interpretato da un attore danese che finge di essere ungherese, da un'americana che fa la svedese, da uno svedese (Erland Josephson) che interpreta uno spagnolo, il tutto girato in una Budapest che dovrebbe rappresentare Parigi.

Le tragicomiche difficoltà che incontra il nostro direttore d'orchestra diventano allora, ovviamente, quelle di mettere d'accordo tante etnie europee: un miscuglio di idiomi che faticano ad utilizzarne uno solo per comprendersi, le diversità culturali e soprattutto gli imbrogli ed i rancori meschini di un melting pot che stenta terribilmente ad accordarsi, non fosse che sugli accordi squisiti di Wagner. A cominciare dai burocrati che reggono le sorti del Teatro, fino ai capricci isterici degli artisti, gli svenimenti delle primedonne, i pruriti sessuali delle comparse, il manicheismo dei sindacalisti che regolano la pausa-panino dell'orchestra, fino alle deviazioni ereditate dai diversi estremismi mal digeriti (" nazi-comunista " è il curioso epiteto che circola in sala).

Inframmezzata da diverse sequenze musicali tratte dall'opera siamo, lo avrete compreso, in clima PROVA D'ORCHESTRA: stesso direttore che impazzisce per dare un senso al concerto della società, stessi orchestrali e cantanti che pensano ai fatti loro.Fellini, per venirne fuori, ricorreva al fantastico: una specie di minaccia cosmica (l'immensa sfera di un'impresa di demolizione) che giungeva a far crollare l'edificio già traballante. Szabo si affida all'amore-passione: e le cose si guastano.

Leggera, spiritosa, saggiamente assurda, felicemente tipata nei vari personaggi, ispirata in Arestrup che sembra crederci davvero, e con un'entrata in scena di Glenn Close proprio da diva (oltre che permeata dal piacere della musica, resa in tutta la perfezione del suono numerico ), la prima mezz'ora del film si vede con grande piacere: fino a quando i due decidono di amarsi alla follia.

Segue allora un interminabile ti amo ma tu meno, dillo a tua moglie ma ti rovino la carriera , corriamo sotto la pioggia malgrado il rischio per le corde vocali, finalmente a letto ma suona il telefono, siamo ragionevoli ma l'arte si nutre anche di passione.

È come se, nell'entusiasmo dell'assunto , il film sfuggisse dalle mani di un cineasta pur esperto come Szabo. Da quel momento via, rien ne va plus: i tempi si slentano, le scene erotiche sono glaciali, il lirismo diventa quello di far spuntare un fiore sulla bacchetta del direttore finalmente appagato, persino la moglie furiosa a Budapest abbozza un sorriso condiscendente, mentre assiste alla prima in Eurovisione.

La wagneriana ebbrezza, insomma, ha sistemato il tutto: in quanto all'Europa, la musica è tutt'altra.


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